Chi sono?

Sono laureato in Filosofia e Specializzato in Psicologia. Mi sono occupato di Età Evolutiva lavorando come Consulente in Servizi Pubblici fin dal 1980. Mi sono ulteriormente specializzato in una Scuola di Psicoterapia degli Adolescenti istituita dalla Provincia di Milano (Prof.G.C. Zapparoli). Sono stato socio dell'Istituto di Psicoterapia del Bambino e dell'Adolescente di Milano ricoprendo anche cariche negli organismi direttivi. Sono stato inoltre, Tesoriere della Società Italiana di Psicologia Clinica e Psicoterapia. Attualmente (dal 2004) sono membro dell'AMP-Veneto (Associazione dei Medici Psicoterapeuti di Mestre-Venezia)

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Benvenuti nella pagina personale di

FRANCO FERRI, Psicologo, Psicoterapeuta

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  • Adulti in difficoltà

Possiamo cercare la definizione di psiche sul vocabolario, ma in fondo non è necessario perchè ognuno lo sa da sè: è il suo "sentire", il suo "sentirsi". E non occorre altro.

La disciplina che si occupa della psiche è la Psicologia. Essa è stata definita in molti modi, ma qui ne propongo una alla Vostra condivisione:

"La psicologia è l'arte della vita, della nostra vita, quella che scegliamo di vivere con la gratificante certezza della nostra irripetibile unicità.

La consapevolezza della nostra unicità è legata intimamente col sentimento del privilegio di appartenere al genere umano, ed è dunque percorsa dalla tensione conscia, preconscia e inconscia a costruire e a condividere con gli altri esseri umani, nella sua infinita e creativa varietà, il piacere di vivere"

Quando "sentiamo" che qualcosa di noi fa fatica ad entrare in questa definizione, probabilmente sono in gioco diversi fattori:

  • o fattori ambientali (modificabili solo modificando l'ambiente o abbandonando quell'ambiente per un altro)
  • o fattori organici (di competenza medica)
  • o, infine, dei fattori propriamente psicologici.

Di questi ultimi possiamo averne un'idea ingenua, approssimativa, straniante e svalutante. Oppure un'idea carica di vaghe sofferenze capaci di impedire una pienezza di vita e tali da turbare o addirittura inibire il nostro rapporto con la realtà quotidiana.

Possiamo immaginare però di imparare a farci carico responsabilmente del loro funzionamento. Sopratutto quando sentiamo forte il desiderio di diventare persone capaci di scegliere con cognizione di causa se modificarne l'impatto sulla nostra vita o consolidarne la forma.

Di solito, conviene.

Quando una persona si trova in difficoltà nel rapporto con gli altri o con sè stessa, è perchè "sente" la fatica e la rabbia per l'assetto relazionale in cui si trova impantanata.

Questo "sentire" o "sentirsi" è quel segnale psichico che ci invita a prendere atto della scarsa efficacia degli sforzi che abbiamo già messo in campo per modificare questo assetto. Assetto che si configura come una coazione a ripetere non sufficientemente consapevole di atteggiamenti e percorsi mentali di dubbia efficacia.

Solo quando si fa strada il desiderio di imparare a diventare artefici della propria vita sono possibili un cambiamento di prospettiva e nuovi orizzonti. E' a quel punto che lo sguardo può liberarsi dalla tirannia di una inesausta concentrazione sul Sè e può spaziare intorno alla ricerca di qualcuno "sentito" come più avanti  in grado di fare da guida nel non semplice percorso alla ricerca di un rapporto più soddisfacente con sè stessi e gli altri.

La Psicoterapia può essere vista come un percorso condiviso col terapeuta teso verso questo traguardo.

***

 

Cattiveria e creatività – Franco Ferri  

 

 

Forse, tra cattiveria e creatività c’è qualche misterioso rapporto

 

 

Dopo quello che a me sembra un lungo silenzio, una mia paziente in seduta esclama “Ma sono la stessa cosa!".

In un primo momento non capisco a cosa si riferisce.

Rimango interdetto almeno fino a quando aggiunge: "Ma si, creatività e cattiveria sono uguali, sono solo due modi diversi per chiamare le stesse cose, per parlare delle stesse emozioni da due punti di vista differenti!"

Dopo un attimo di esitazione, devo ammettere quasi a bocca aperta che questa giustapposizione di parole appare intrigante anche a me.

Mi chiedo come abbia fatto ad accorgersi che si tratta delle stesse lettere dell'alfabeto disposte in maniera diversa, cioè un anagramma, un gioco da Settimana Enigmistica! E ancora mi chiedo per quali percorsi mentali sia arrivata a “sentire” qualche intimo legame fra queste due parole.

"Ah, proviamo a parlarne!" aggiungo.

Intanto penso tra me e me a quella che sembra una semplice concomitanza, una coincidenza. In questa paziente però (la chiameremo Laura) ha prodotto una intuizione fulminante, comunicata a me con uno slancio del tutto inaspettato.

La sorpresa, dunque. E' così che si avvia la catena associativa. Di sorpresa in sorpresa.

Per questo le chiedo quali pensieri stava cercando di organizzare nella sua mente quando è arrivata alla sua conclusione.

Un intervento non necessario!

Ella stessa mi dice che stava giusto pensando a sua madre, da sempre portata in seduta come la quintessenza della cattiveria, descritta come donna malvagia e capace delle perfidie più audaci, inaffidabile e dedita da tempo immemore, fin da quando la figlia era ancora una bambina, alla sistematica disgregazione di tutte le sue iniziative. Una madre che ha frequentato spesso i sogni della mia paziente, tormentandola con incubi sotto forma di ragni mostruosi, dotati di zampe artigliate e tentacolari simili a gabbie che rimandano alle grate di una prigione, con bocche simili a tenaglie, voraci, divoratrici e in grado di emettere viscide ragnatele avvolgenti, che ancora oggi suscitano in lei penose reazioni di fobia incontrollata.

Questa figlia, ormai adulta e madre a sua volta, è ancora oggi apparentemente impegnata in una lotta senza quartiere coi suoi fantasmi, nello sforzo di affermare la propria individualità, rincorrendo la propria autonomia emotiva emancipandosi dalla dipendenza di ricordi amari e angosciosi.

Un piccolo inciso: ascoltandola, si fa una certa fatica ad accettare come buono il fatto che la madre, cattiva come la strega di Biancaneve, sia una Grimilda a tutto tondo dove non ci sia nulla da salvare. Non fosse per altro che Laura è una persona intelligente e sensibile, dall’emotività a volte incontrollata, esigente ma anche molto affettuosa, ambiziosa ma fondamentalmente buona: da chi avrà acquisito queste capacità?

In effetti, proprio il rapporto difficile e disturbato con questa madre sembra abbia avuto un ruolo nel portare questa paziente da me.

Perché i pazienti vengono da noi? Perché qualcosa non ha funzionato o non funziona in maniera soddisfacente nelle relazioni interpersonali; oppure perché qualcosa si è inceppato nel cammino di individuazione, o infine perché qualcosa nel rapporto con sé stessi si colora di un'ombra depressiva.

Veniamo al primo punto: questa paziente, un’apprezzata professionista in un ambiente competitivo dove la creatività personale fa la differenza, è molto impegnata nel suo campo e viene spesso coinvolta in conflitti radicali con colleghi e colleghe, arrivando anche a rotture insanabili su base proiettiva. Infatti, ripropone sovente in seduta il suo cruccio: con una certa regolarità formalizza accuse ignominiose contro di loro, sostenendole con quelli che Laura ritiene fatti incontrovertibili. La sua buona fede è una sorta di assioma di partenza e tutto quanto c’è di cattivo, viene messo fuori di lei e regolarmente attribuito agli altri. Come succede con sua madre.

Questa cosmica cattiveria da cui si sente circondata la costringe a “ritirarsi nei suoi appartamenti” (il suo studio professionale) a medicare le sue ferite. Lì si sente nel suo mondo, in paradiso, protetta, sicura, apprezzata, e, tenendo fuori, lontana, tutta la cattiveria può dedicarsi alla sua professione con risultati creativi che, non ho motivo di dubitarne, sono anche di notevole livello. Proprio come le capitava da bambina, quando, lasciata chiusa da sola in casa, in assenza della madre fantasticava di fughe chimeriche in mondi immaginifici e progettava per sé scenari futuri di successo costellati da trionfi narcisistici.

Che ci sia qualche cosa di vero nella sua esclamazione sulla cattiveria e la creatività?

 

E veniamo al secondo punto.

Ribelle fin da bambina, maschiaccio nella prima adolescenza e seduttiva più tardi - un tratto del carattere che le ha procurato anche qualche guaio non cercato, oltre a qualche altro guaio più consapevolmente e irresponsabilmente rincorso - ancor oggi si sente sul filo del rasoio. Fatica a scegliere quali aspetti del suo funzionamento può abbandonare al loro destino perché decisamente inadeguati all’età e quali invece valorizzare per la sua stabilità emotiva e affettiva. A intervalli non programmati, sull’onda di sogni adolescenziali, si lascia trascinare in esperienze difficili da decifrare nel loro significato e tantomeno da gestire in una quotidianità piuttosto articolata. Si giustifica a prescindere “perché ne ho bisogno… per non morire soffocata” appunto dalla quotidianità.

La fine di queste avventure poi la lasciano in balia di paranoie e marasmi tanto notturni quanto diurni, nei quali si sente cattiva e meritevole di punizioni inenarrabili, a cui tenta di sfuggire con fantasie autolesioniste ed estreme. Poi, lentamente, faticosamente, “rinsavisce”. Lo sguardo e il sorriso dei suoi figli, che qualche tempo prima avrebbe buttato nel fuoco o giù dal balcone, la convincono che le sue creature sono un premio che la vita le ha dato e sente che deve fare di tutto per proteggerli, farli crescere felici e amarli.

Un’altra coincidenza?

 

Infine, la depressione.

Così, come si presenta a me, sembra spesso pervasa da furie maniacali, agitazioni verbali, iperproduzioni di fantasie, perché no, anche creative nel loro insieme e tuttavia fantasie col sapore di una sorta di fuga dalla realtà sentita come ostile. O meglio: ”non sentita”, non raggiungibile.

Allora, meglio sentirsi cattivi che non sentirsi, in una sorta di nemesi con quel mondo esterno così cattivo dove solo poche vere amicizie – per la verità elevate a un ideale piuttosto ineffabile, tipo mamma buona, per intenderci, quella che non può tradire mai - ci possono consolare.

Viene il sospetto che tutto il suo vitalismo, tutto il suo affannoso rincorrere riconoscimenti, sia un modo per tenersi al riparo dalla perdita di autostima, dal rischio di sentirsi vuota e priva di valore.

Come accade nei suoi sogni, la difficoltà a conservare una coscienza adeguata del valore di sé, la costringe di volta in volta a fare i conti con una serie di incubi. In uno di essi si rivolge ad una cattedra di Giudici che devono ratificare ufficialmente il suo valore; questi ultimi però colgono invece l’ingenuo desiderio di grandiosità e la rimproverano, decretando la sua bocciatura irrimediabile.

Questa che appare come una sorta di cattiveria verso di sé in grado di mortificare tutti i suoi sogni di affermazione artistico-professionale è il leitmotive sull’onda del quale è arrivata alla sua intuizione.

 

Dopo qualche alto momento di silenzio esclama: “Io li ho creati, io li devo distruggere”. Penso che si riferisca ai Giudici.

Sento che non posso più escludere a priori una possibilità, un pensiero: qui sembra proprio che il diavolo ci abbia messo almeno un pizzico di coda.

Lei, Laura, per lo meno quel legame lo sente davvero.  

 

 

 

 

 

 

 

... "Quando i pazienti vengono da noi, ascoltandoli, nel lavoro clinico si coglie tutta la loro difficoltà, la fatica e la rabbia per l’assetto relazionale in cui si sentono impantanati. Sopratutto la scarsa efficacia degli sforzi autonomi messi in campo per modificar questo assetto, alla ricerca di un rapporto più soddisfacente con l’Altro. Questo perché l’inconscio, lo dice il termine stesso, è appunto inconscio e non può essere “afferrato” dalla ragione. Anzi, ..., la ragione stessa è nata come difesa dall’imprevedibilità delle passioni e degli istinti…

E spesso solo dopo un lungo percorso terapeutico si arriva a comprendere “assieme”, paziente e terapeuta, quanto le difficoltà di relazione con l’Altro siano più difficoltà di relazione con sé stessi, col nostro Doppio, con quella parte di noi nascosta nell’inconscio, con quanto è stato ricacciato nel nostro inconscio: poiché la sua bonificazione non è potuta avvenire a suo tempo, si è reso necessario un lavoro postumo di disvelamento senza scorciatoie, nell’unico modo in cui ci è dato di avvicinarci all’inconscio: nel setting analitico (Semi, 2007)"

da: Franco Ferri "Io esisto?", pubblicato in Psychomedia, rivista on-line, settembre 2013

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La mia formazione è avvenuta attraverso una analisi personale con analista SPI e training con diversi supervisori con i quali ho discusso in forma anonima la conduzione i diversi casi clinici.

  • Non accade mai nulla che prima non sia stato un sogno        (Anonimo)
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  •  L’immaginazione è più importante della conoscenza (A. Einstein)

  •  Il modo migliore per predire il futuro è inventarlo (A. Kay)
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  • Chi vince gli altri è forte, chi vince sè stesso è potente (Lao Tze)
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  • Sono un uomo: nulla di quello che riguarda l'uomo mi è estraneo (Terenzio)

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  • Pensavo che l'ombra dell'uomo fosse la sua vanità. (Nietzsche)

  • E' il fantasma del nostro io [l'inconscio]: il suo intimo legame con il nostro animo e la sua profonda influenza ci gettano nell'inferno o ci innalzano al cielo. (E.T.A. Hoffmann)

 

 

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